La conferenza sul clima di Copenaghen si chiude con la definizione dei fondi da stanziare ma non dei limiti di emissione. apri
Un accordo non vincolante sui limiti di emissione, che rimanda ancora una volta le decisioni più importanti (fra 6 mesi a Bonn, fra un anno a Città del Messico) e lascia libero ogni paese di agire per conto suo, senza controllo.
Non sarà certo ricordato come storico il documento finale dalle Conferenza Internazionale sul Clima che si è chiusa in questi giorni a Copenaghen.
Torna a casa soddisfatta solo la Cina, che vede approvati impegni economici significativi per paesi in via di sviluppo (circa 30 miliardi di dollari nei prossimi due anni che saliranno gradualmente a 100 per il 2020) e nessun limite alla sovranità e all’interesse nazionale, grazie alla mancata decisione sui vincoli: non è stato inserito infatti l’obiettivo della riduzione del 50% delle emissioni per il 2050.
Grande delusione per i paesi del G77 (l’altra parte del mondo, quella meno fortunata) che lo considera il peggior accordo della storia. Sono loro che già subiscono in prima persona gli effetti dei cambiamenti climatici e che vedranno i loro paesi ulteriormente sconvolti.
In molti giustamente hanno rifiutato di firmare l’accordo, ricordando che il loro futuro non è in svendita.
L’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura entro i 2° è riconosciuto da tutti, ma gli strumenti per ottenerlo sembrano piuttosto generici e non convincono ambientalisti e ONG, anch’essi delusi dall’esito di Copenaghen.
Per l’Unione Europea è il meglio che si poteva fare e comunque resta fermo l’impegno a rispettare il protocollo di Kyoto (-20% di emissioni nel 2020).
Come previsto, dopo i preparatori incontri tecnici, sono stati gli ultimissimi giorni del vertice, quelli più “politici”, ad essere decisivi.
Nei giorni precedenti un’altalena continua di momenti di rottura (anche all'interno del G77, gruppo inizialmente compatto) e di grande confusione (documenti annunciati e poi spariti o semplici bozze che girano informalmente tra le delegazioni).
Alla fine è il fronte politico, quello dei finanziamenti, che ha avuto il sopravvento su quello tecnico, che puntava a risultati numerici importanti.
Poco si è fatto per la deforestazione e per la definizione di strumenti di misura e controllo degli obiettivi.
Quel che resta è il risultato finale: come ha sottolineato Chavez nel suo intervento alla conferenza: "Se il mondo fosse stato una banca, sarebbe già stato salvato".
Con l’accordo di Copenaghen, esclusivamente politico-economico, si è dimostrato ancora una volta il pesante limite dell’attuale classe politica, ancorata a vecchi schemi, incapace di comprendere a fondo l’importanza vitale della questione ambientale.